La Tecnica e il sublime

«Ma quando la potenza della Tecnica giunge davvero a colpirci, a suscitare in noi quella meraviglia che fa esclamare “è bello”? Quando le sue immagini ci appaiono disinteressate, autonome da ogni condizionamento economico e politico.
Quanto più il cervello sociale che genera le grandi conquiste della Tecnica s’incardina nel sistema generale di produzione, tanto più noi ne avvertiamo le manifestazioni come bellezza, animata da un’intrinseca, libera finalità. Qui è il paradosso: nulla è oggi più intimamente strutturato all’interno del complesso delle relazioni politico-economiche dello sviluppo scientifico e tecnologico; eppure “entrando” nello spazio-tempo di una grande architettura, ovvero nel processo in atto di trasformazione di una grande città, è come se avvertissimo in azione un’energia che trascende ogni committenza e ogni interesse estraneo alla realizzazione dell’opera stessa. Solo ideologia? Solo una maschera, il bello, della dipendenza dal mercato e dallo scambio dei prodotti dell’“intelligenza generale”? Non credo affatto.
Come una volta il bello poteva essere sentito splendor di un divino trascendente, così ora in esso, nel nostro sentimento di esso, splende la potenza di un agente, di un Soggetto agente, di una Intelligenza agente, che hanno come proprio intrinseco fine il trascendere ogni condizionatezza economica o mercantile. Le manifestazioni della potenza della Tecnica tendono al sublime, di fronte a cui restiamo spaesati. Ma in questo sentimento possiamo ritrovare la sublimità dell’intelligenza che le ha create e che nessun sistema di dominio tecnico-economico potrà mai ridurre a suo mero possesso.»

Massimo Cacciari, “Anterem” n. 96, giugno 2018 >>