«Se è vero che la materia organica (per esempio noi) è stata prodotta nelle combustioni stellari, non è poi così strano che alle profondità del cielo noi abbiamo dedicato tanta attenzione, producendo miti, religioni, cosmogonie, cosmologie, soprattutto nostalgie. D’altra parte non c’è nulla, per noi, di così lontano come il cielo. E se la nostalgia è desiderio del ritorno, la lontananza fra noi e la nostra origine è tale che non possiamo realmente farci una ragione del nostro essere qui, e nemmeno un’idea di come si possa tornare là. L’infinita lontananza del cielo è forse l’immagine meno inadeguata di quell’alterità, per definizione inattingibile, verso la quale (e dalla quale), nonostante ogni passo valga zero in termini di avvicinamento (e quindi di allontanamento), ci sentiamo contemporaneamente attratti e respinti. La metafora per questa tensione è quella magnetica: noi, come l’ago, abbiamo un estremo che propende e un altro che rifugge, in questo modo troviamo la nostra posizione lungo la linea del campo magnetico.»
Dario Voltolini, Il tempo della luce, 2005 >>