«L’idea più comune per spiegare la situazione è che questi negazionisti siano disinformati e che una migliore comunicazione della scienza farebbe cambiare loro idea. In realtà, non è così.
Ignorando il numero irrisorio di talebani, che sono per principio contrari ad ogni affermazione scientifica e sono negazionisti o complottisti su basi psichiatriche, un paio di decenni di ricerca empirica ha mostrato che una parte significativa di “negazionisti parziali” è mossa da atteggiamenti conservatori, da pregiudizi o da una intuizione distorta del rischio, per cui si oppongono a ogni innovazione perché considerano lo status quo come qualcosa da proteggere contro interventi che giudicano non chiari. Molti di questi individui pensano, ingannandosi, che i problemi attuali derivino da una decadenza rispetto a un passato mitico, cui si dovrebbe tornare. Per difendere queste credenze, dato che si tratta spesso di laureati che sanno costruire ragionamenti coerenti e autoconvincenti, chi critica l’uso della scienza ricorre anche… alla scienza; ovvero si appella o a qualche dato incerto o al fatto che la scienza non può prevedere tutto ed esistono fatti che non sono spiegati dagli scienziati, che quindi non possono pretendere di dare consigli. Questi stessi laureati, quando discutano di fatti scientifici che si accordano bene con la propria visione del mondo, sono i primi a difendere la ricerca: per esempio, si osserva di frequente che chi si oppone su basi non scientifiche alla coltivazione di OGM è schierato decisamente sulle posizioni della comunità scientifica quando si parli di cambiamento climatico. Il negazionista parziale, laureato e spesso su posizioni conformi a quelle della comunità scientifica, è anche in buona fede convinto di interpretare il ruolo dello scettico liberale, capace di accettare la scienza ben fondata, e di rifiutare con acute argomentazioni quella che gli appare “cattiva”.»
Enrico Bucci e Gilberto Corbellini, “Il Sole 24 ORE”, 12 marzo 2019 >>