«La penetrazione in Italia della banda ultralarga fissa, e persino quella della banda larga, non è frenata soltanto dalla carenza di infrastrutture, ma anche da una domanda che, seppure in leggera crescita, è piuttosto timida. Oltre a un certo analfabetismo digitale che nel nostro Paese è più diffuso che altrove, complice anche un’alta età media della popolazione, a deprimere la domanda c’è l’antica inclinazione nazionale per il telefonino, poi trasformatosi in smartphone: un italiano su cinque, anche quando è acciambellato sul proprio divano di casa, utilizza esclusivamente connessioni mobili, un’abitudine che in Europa ci accomuna soltanto ai finlandesi e agli svedesi che, fin dai tempi in cui Nokia ed Ericsson furoreggiavano incontrastate, sono rimasti mobile addicted.»
Così scrive Guido de Franceschi in La visione della fibra, pubblicato qualche mese fa sul magazine del Sole 24ORE.
Si è tentati, scherzosamente ma non troppo, di attribuire la suddetta “antica inclinazione” a una precisa circostanza: al fatto cioè che a inventare il wireless fu un nostro connazionale.