«Alzi la mano chi conosce Nils Gustaf Dalén. Nessuno sicuramente ne ha mai sentito parlare. Eppure nel 1912 questo signore svedese fu insignito del premio Nobel per la fisica, già allora il più importante riconoscimento mondiale in campo scientifico. Si dirà: ben pochi degli scienziati che ricevono il Nobel sono noti al grande pubblico. Questo è vero, ma, oltre al fatto che Dalén è sconosciuto anche agli stessi fisici, la cosa più sorprendente è che egli sia stato preferito a due figure del calibro di Max Planck e Albert Einstein (che dovettero aspettare molti anni e decine di candidature per riuscire ad avere lo stesso onore). Certo, la sua nazionalità svolse un certo ruolo, così come il fatto che fosse divenuto cieco a causa dei suoi esperimenti (era quel che si diceva un “martire della scienza”). Ma giocò a suo favore anche il tipo di ricerche che aveva compiuto, e che oggi non penseremmo che possano meritare un Nobel: mentre Planck e Einstein avevano ideato due teorie – la teoria dei quanti e la relatività – di cui ancora sfuggiva a molti la portata, l’ingegner Dalén aveva sviluppato un sistema per la regolazione automatica dei fari e delle boe luminose, dando così un importante contributo alla sicurezza della navigazione.
Il presidente dell’Accademia svedese delle Scienze, il consesso che assegna il premio, dichiarò che la scelta di Dalén aderiva “strettamente” alla volontà di Alfred Nobel, il quale nel suo testamento aveva indicato come destinatari del premio coloro i quali avessero “reso all’umanità i più grandi servigi”, con “scoperte o invenzioni”. Non diversamente, dopo tutto, l’Accademia si era comportata nel 1909, quando il premio per la fisica era andato al nostro Guglielmo Marconi e al tedesco Ferdinand Braun per lo sviluppo della telegrafia senza fili (la differenza rispetto al caso di Dalén è che le comunicazioni radio sono ancora attuali mentre le lampade ad acetilene sono un reperto archeologico).»
Vincenzo Barone, “il Sole 24ORE / Domenica”, 9 ottobre 2017 >>