Pochi mesi prima che ai Bells Labs si realizzasse il prototipo del transistor, la radio a valvole si fece particolarmente onore accompagnando (e rendendo possibile) l’avventura del Kon-tiki, come è ben sintetizzato nel brano qui riportato tratto dal libro di Lorenzo Bracco e Dario Voltolini Oltre le colonne d’Ercole (BookSprint 2014).
«Oltre a Thor Heyerdhal, capo spedizione, in questa impresa vi erano altri 5 membri dell’equipaggio, debitamente assortiti, uno era navigatore e artista, dipinse il volto del dio sulla vela, uno era cuoco, sociologo e interprete, parlava anche lo spagnolo, un altro ancora ingegnere, si interessò del meteo e della posizione, altri due erano esperti di radio.
La zattera fu costruita a Callao in Perù. Partì il pomeriggio del 28 aprile del 1947, avvistò il 30 luglio Puka Puka e il 7 agosto toccò terra su un isolotto dell’atollo disabitato di Raroia, nell’arcipelago delle Tuamotu, in pieno Oceano Pacifico, praticamente a metà strada fra l’America del Sud e l’Australia. È una distanza di 3770 miglia marine (6067 chilometri), ma con le varie deviazioni si parla di circa 4300 miglia marine (6920 chilometri) effettivamente navigate dalla zattera in 101 giorni alla velocità media di 1,8 nodi, solo portata dal vento e dalle correnti.
L’impresa fu un grande successo mediatico, seguita passo a passo grazie ai contatti via radio che questi moderni argonauti mantenevano con il mondo. Le radio erano di nuova concezione, messe a punto nella Seconda guerra mondiale per mantenere i contatti con gli operatori di radio clandestine, e il 5 di agosto riuscirono persino a collegarsi con Oslo in Norvegia, lontana 10.000 miglia, cosa non da poco all’epoca per comunicazioni con radio portatili in condizioni così difficili. Gli apparecchi radio erano tre, a valvole e stagni all’acqua. L’alimentazione avveniva tramite batterie e una dinamo a manovella azionata a mano. La radio del Kon-Tiki ebbe un nome di tutto riguardo, NATIONAL RADIO COMPANY, NC-173. Il libro che uscì nel 1950, Kon-Tiki, Across the Pacific by Raft, di Thor Heyerdhal, fu un successo editoriale mondiale.
Non c’è da stupirsi che le generazioni umane che ebbero la loro giovinezza in quell’arco di tempo che riempie gli ultimi cinquant’anni dello scorso millennio pensino a Thor Heyerdhal come a una figura mitica.
Egli fu norvegese per nascita, cittadino del mondo per scelta e italiano per ultimo. Infatti visse l’ultima parte della sua vita, fino al 2002, a Colla Micheri, ridente frazione di Andora sulla riviera ligure di ponente, dove ora sono le sue ceneri.
Fu antropologo, esploratore, scrittore e regista. Si direbbe che non manchi nulla al suo curriculum vitae e svettò in ogni singola disciplina. Ad esempio, suo fu l’Oscar, nel 1952, per il miglior film documentario.»