«Certo, non è facile il parallelo tra la maestosa Villa Griffone, alle porte di Bologna, e il garage di Albuquerque dove la leggenda vuole sia nata la Microsoft di Bill Gates. Ma se mettete da parte le dimensioni del villone della famiglia Marconi, dove il giovane Marconi fece partire il primo impulso radio dalla sua trappola di rame e manovelle, l’accostamento vi rivelerà gli sbalorditivi déja vu della Storia. Il padre del telegrafo senza fili non era ingegnere (anche se aveva solide basi teoriche) quando riuscì a cambiare la storia del XX secolo, e Gates, quando lavorava a cambiare quella del XXI, era iscritto addirittura a legge, per di più con un percorso universitario ondivago. Marconi non pensava di inventare la radio, cioè di fare viaggiare la voce umana nell’aere: il suo intento era quello, finalizzato soprattutto all’utilizzo in mare (e tecnicamente più arduo, con gli occhi di oggi), di trasmettere a grandi distanze un impulso abbastanza potente da muovere il magnete di una stampante morse. Quanto a Bill Gates, puntava a vendere un software a una ditta che produceva già microcomputer, e si ritrovò con un sistema operativo che ha centuplicato e reso capillare la presenza degli elaboratori nel mondo. Marconi non fu un pallido scienziato dedito agli studi, ma fu l’imprenditore di se stesso. Creò a Londra una compagnia per produrre e vendere le proprie invenzioni, affidandone i brevetti ala nazione più potente dell’epoca (la madre, del resto, era britannica); fu il testimonial di se stesso, e diventò ricco. Bill Gates… beh, è diventato Bill Gates. La doppia rivoluzione industriale della comunicazione, un secolo fa e oggi, ha radici comuni e spalle quadratissime. Non crediate che il vecchio Guglielmo fosse un romantico sognatore: avesse oggi in mano lui Facebook, anziché il piagnucoloso Zuckerberg, siete sicuri che il vostro profilo sarebbe al sicuro dai manipolatori della Rete?»
Andrea Fontana, “il Resto del Carlino”, 23 marzo 2018