Da più parti si legge che Gabriele d’Annunzio definì il panfilo Elettra «la candida nave che naviga nel miracolo e anima i silenzi eterei del mondo».
Nel discorso che d’Annunzio pronunciò a Fiume il 23 settembre 1920 si legge: «Udite. Dianzi, quando il Mago scendeva dalla sua candida nave, voi eravate come…».
Diverse righe oltre si legge: «Udite. Domani dalla sua nave bianca che veramente naviga nel miracolo e anima i silenzi eterei del mondo, egli mi darà il modo…».
La frase che accompagna da quasi un secolo l’Elettra come una didascalia non è quindi autenticamente d’annunziana, bensì sintesi un po’ goffa (difficilmente d’Annunzio avrebbe scritto o pronunciato «nave che naviga» senza interporre alcunché) delle sue parole.
A proposito del rapporto GM-d’Annunzio, si riporta qui un passo tratto da Giancarlo Masini (Marconi, UTET, Torino 1975, pagine 372-3).
«Il 17 giugno 1929 il re d’Italia insignì Marconi del titolo ereditario di marchese. Guglielmo ne fu lusingato, ma la sua felicità fu offuscata dalla constatazione che il suo amico Gabriele d’Annunzio aveva ricevuto il riconoscimento ad un rango nobiliare più elevato (era stato fatto principe di Montenevoso). Marconi non si dette mai pace di questa che ritenne un’ingiustizia nei confronti della sua persona e della sua opera.
Nonostante ciò Guglielmo chiese a d’Annunzio di trovargli un motto per il suo nuovo blasone; ma a quanto pare il poeta, o perché era a corto di ispirazione o perché aveva altro a cui pensare, non trovò tre parole da regalare all’uomo e all’amico che una volta aveva definito “mago”. Il titolo nobiliare del padre della radio rimase così senza motto. Esso fu inventato dallo stesso d’Annunzio soltanto dopo la morte di Marconi: AUDERE SILENTER (Osare in silenzio).»