«Quell’anello di retroazione che ci rende dipendenti dalle cose che in realtà dipendono da noi, funziona da quando produciamo degli artefatti, cioè dai nostri albori. Noi li produciamo e nella quotidianità più locale, di rimando, loro ci condizionano. Quello che padroneggia il fuoco non è più lo stesso uomo, perché il calore ne trasforma l’alimentazione, l’habitat, la pelle, il comportamento, la fragilità; non è più lo stesso amico quello che usa la scrittura, perché essa ne cambia le relazioni, la convivenza, l’adattamento e l’intelligenza; non è più la stessa donna quella che controlla il cellulare, perché esso rimodella lo spazio, accelera il tempo, facilita gli accessi, avvicina i corrispondenti. Callo o durone, la pianta del piede dipende dalla suola, lo sguardo dagli occhiali, il sonno dai muri, la libertà delle donne dal computer… Esternalizzati dal corpo, gli artefatti vi ritornano e lo metamorfosano. L’invenzione tecnica ha effetti sull’innovazione umana, strumenti e macchine ominizzano. Questo processo va avanti da millenni e, rottura dopo rottura, accelera o rallenta. Diventiamo continuamente i nostri figli. […]
Ora, il nostro rapporto con il Grande Feticcio si regola gradualmente, o mal si decide in riunioni politiche, giuridiche, internazionali. Questo rapporto si costruisce attraversando antiche regioni un tempo distinte: scienze e tecniche, diritto e politica, e anche il religioso, visto che si tratta di un feticcio. Per pensare il mondo nuovo, dobbiamo connettere tali regioni, una delicata impresa trasversale la cui esigenza inattesa avvicina figure estranee le une alle altre, e non manca di scioccare gli habitué delle idee analiticamente distinte: difficile traversata.
Esempio: noi, scienziati, ingegneri, professionisti…, lavoriamo su delle cose. Soggetti, affrontiamo degli oggetti. Noi abbiamo delle intenzioni, delle idee; loro non ne hanno. Una pietra, una mela non si vendicano. Horresco referens, non siamo affatto animisti, non crediamo che gli oggetti abbiano un’anima, covino passioni, concepiscano astrazioni, come noi. Dunque sfruttiamo le cose del mondo trattandole come passività. Ma ecco che un oggetto grande, globale, il mondo, sembra a dir poco rivoltarsi contro di noi. È un essere vivente? È un dio? No, è un feticcio. Noi abbiamo lavorato su di lui e, improvvisamente, lui si comporta come se reagisse ai nostri abusi. Non possiamo dunque più comportarci, non possiamo più pensare come se gli oggetti, viventi inclusi, si riducessero a delle passività. Questa lezione capovolge i fondamenti delle nostre filosofie, le basi, cosiddette obiettive, delle nostre conoscenze.»
Michel Serres, Il mancino zoppo, 2015 >>