Tra i primissimi a introdurre nei propri versi la nuova tecnologia marconiana fu Domenico Gnoli (Roma 1838 − 1915), che nel 1903 pubblicò – con lo pseudonimo di Giulio Orsini – la raccolta Fra terra ed astri.
Nella lunga lirica intitolata “Dall’epistolario”, di cui qui sotto si riproduce l’incipit, Orsini/Gnoli nomina infatti per due volte il «radiotelegrafo», cogliendo con perfetta sensibilità il potenziale della telegrafia senza fili, destinata col tempo ad essere sempre più invocata (e utilizzata) per accorciare o annullare le distanze.
Mia dolce amica,
eccomi a darvi avviso
Che a Napoli son giunto avanti sera,
Bella e serena come un paradiso.
Barche nel golfo, cocchi alla riviera,
E letizia di cose e di persone…
Ma voi sapete, credo, chi non c’era;
E allora è meglio senza paragone
Il canale che livido ristagna
Sotto le pietre del vostro balcone.
O il solitario odor della montagna
Dove andavamo, l’altro mese, in giro,
Lungo le rupi che la Piave bagna.
Io son qui solo, e a voi penso, e deliro
Ravvolto in certi miei deliramenti,
Penso al radiotelegrafo e sospiro.
Perché vorrei poter, senza strumenti
Per forza di pensiero, agitar l’onde
Dell’etere, e gittar l’anima ai venti.
Voi, come voce che a voce risponde,
Dareste ai venti l’anima anche voi.
Ed ecco che s’incontra e si confonde
L’una coll’altra amicamente; e poi,
In qualche valle su dell’Apennino
Dove non sia nessuno altri che noi,
Poseremo confusi in un divino
Silenzio: il monte, complice benigno,
Delle sue balze ci farà cuscino.
Via, non mi fate, amica, il viso arcigno,
Ch’io già vi sento dirmi: matto, matto!
Come solete, con quel vostro ghigno,
Io son tal quale voi m’avete fatto.
Ora, poi che mia legge è farvi parte
D’ogni pensier, d’ogni affetto, d’ogni atto,
Quella distanza rea che ne diparte,
Mentre il radiotelegrafo l’aspetto,
Debbo varcarla con empir le carte.
[…]