Licenze

«Il controllo sulla trasmissione e la ricezione dei segnali radio spettava al ministero delle Poste, in virtù di una legge precedente che gli aveva affidato quello sui telegrafi. Il ministero prese molto sul serio le proprie responsabilità, limitando la concessione delle licenze fino agli inizi degli anni venti sulla base di un’effettiva utilità scientifica. Perfino la Marconi Company – protagonista indiscussa della nascente attività – dovette fare richiesta di un permesso per trasmettere dalla stazione sperimentale di Chelmsford. Nel 1920 il ministero negò addirittura tale autorizzazione a Marconi, sostenendo che i suoi “futili” segnali non fossero parte di un vero esperimento e che rischiassero per di più di interferire nelle comunicazioni militari.
Ma ben presto ricevette un colpo inaspettato. Nel frattempo, infatti, migliaia di appassionati avevano già iniziato a sperimentare in privato con marchingegni per la ricezione e la trasmissione, mettendo in piedi delle “stazioni” e stimolando una letteratura dello stupore che invogliava anche altri a partecipare. Dozzine di società radiofoniche erano fiorite in tutto il paese già a partire dal 1913, per poi proliferare all’indomani della guerra. Come in America, questa comunità era composta da cittadini che avevano iniziato ad armeggiare prima del conflitto mondiale o, nella maggior parte dei casi, che avevano ricevuto un addestramento nell’esercito. E sempre analogamente all’America, questi cittadini erano convinti di incoraggiare un ideale di “uomo di scienza” con la loro ricerca, che era completamente gratuita. La loro “prima e invariata” richiesta fu dunque quella di potersi vedere assegnate delle licenze di ricezione “nella più totale gratuità”».
(segnalazione di Daniele Coliva)

Adrian Johns, Pirateria. Storia della proprietà intellettuale, 2009 >>