«La prima volta che Marcos Rodríguez Pantoja sentì delle voci alla radio, si spaventò. Pensò: “Caspita, quella gente dev’essere lì da un sacco di tempo!”. Era il 1966, e Rodríguez si era svegliato da un pisolino sentendo quelle voci. La conversazione veniva da una piccola scatola di legno. Si alzò e si avvicinò a quello strano congegno. Non c’era una porta, uno sportello, neanche una piccola fessura sulla superficie. Niente. Quelle persone erano intrappolate lì dentro. Allora gli venne un’idea. Gridò: “Non vi preoccupate, se vi spostate tutti da un lato, vi tiro fuori”. Andò di corsa verso la parete dall’altra parte della stanza con la radio in mano e, rosso in viso, la lanciò con violenza contro il muro di mattoni. Il legno si scheggiò, l’altoparlante uscì fuori dalla cassa e le voci tacquero. Rodríguez lasciò cadere a terra la radio. Quando s’inginocchiò per frugare tra i rottami, non c’era nessuno. Li chiamò, ma non risposero. “Li ho uccisi!” urlò, e tornò a letto, dove rimase nascosto per il resto della giornata. All’epoca Rodríguez aveva poco più di vent’anni. Niente faceva pensare che la sua intelligenza fosse al di sotto della media, ma era un fatto che ignorasse l’esistenza delle tecnologie più elementari. Forse perché, stando a quello che dice, tra i 7 e i 19 anni aveva vissuto da solo, lontano dalla civiltà, nella Sierra Morena, la desolata catena montuosa che attraversa il sud della Spagna.»
Matthew Bremner, “The Guardian”, 28 agosto 2018 >>
(versione italiana in “Internazionale”, n. 1274)