Fu una delle più grandi nevicate a Bologna. Ed io, salendo da Napoli, mi ci ritrovai dentro.
Volevo vedere Villa Griffone, la Fondazione Marconi, ma la neve impossibilitava l’accesso alla strada. Maurizio Bigazzi, pur non conoscendomi, e sentendo la mia grande delusione, mi propose di vederci quel giorno stesso al centro di Bologna dove era allestita una mostra su Guglielmo, così lui soleva chiamare Marconi. Gli parlai del mio progetto su un cortometraggio riguardante i primi esperimenti del padre della radio. Lui disse che la gente di cinema aveva già fatto molti danni, materiali e non, sul Colle dei Celestini. Io gli risposi che non facevo parte di quella gente. Ricambiò con un sorriso unico, un occhio vispo, una boccata di pipa. Un’immagine indelebile e che mi avrebbe accompagnato sempre. Mi credette. E parlò con me per ore. Io sarei rimasto ad ascoltarlo ancora. E così feci.
Continuai a fargli visita nei mesi seguenti, le giornate passavano, volavano. Ero avido dei suoi racconti, della sua capacità di coinvolgere ma soprattutto di condividere. Una dote rara che andava ben al di là della semplice generosità. La sua cognizione del tempo era unica, non sembrava viverlo come un peso perché aveva una certa tendenza a farlo sembrare sospeso. Il tempo che il suo Marconi accorciò attraverso le sue invenzioni.
Mi chiamava il napoletano tedesco o lo svizzero napoletano per la precisione con cui rispettavo gli appuntamenti e la tabella di marcia. Sorridendo insieme a Barbara Valotti della mia caparbietà. Capì che facevo sul serio. E si ritrovò venti persone riunite all’alba per ricreare un momento di vita del suo amato Guglielmo Marconi. Negli anni a seguire ho portato vari amici a visitare Villa Griffone dicendo loro «dovete venire altrimenti non potrete mai capire». E con tutto il rispetto, non li portavo tanto per Marconi, ma per Maurizio. Una di quelle persone rare che si incontrano nella vita e che cambiano il tuo modo di guardare ad essa.
Io avevo provato a raccontare un genio, ma ne avevo trovato un altro.
Ed è per questo motivo che mi ero ripromesso di lavorare ancora su Marconi ma attraverso Maurizio, un progetto più grande del quale continuavo ad accennargli ogni volta che lo sentivo. Ma, stupidamente, ho perso tempo dietro ad altre cose. Me ne rammarico e non me lo perdonerò mai. E lui, sicuramente, sentendomi dire questo avrebbe sorriso con una scintilla negli occhi e una boccata di pipa.
Raffaele Manco