Non è curioso che in un mondo travolto da odii irrazionali che minacciano le radici stesse della civiltà, uomini e donne, vecchi e giovani, si allontanino completamente o in parte dal furioso tumulto della vita quotidiana per dedicarsi al culto della bellezza, all’approfondimento del sapere, alla cura della malattia, all’alleviamento delle sofferenze, proprio mentre i fanatici si impegnano nel diffondere dolore, orrore e sofferenza?
Il mondo è stato dall’origine un luogo triste e confuso – eppure poeti, artisti e scienziati da sempre ignorano quella realtà che, se fosse tenuta presente, li paralizzerebbe. Da un punto di vista pratico la vita intellettuale e dello spirito è considerata, in modo superficiale, un’attività inutile, alla quale gli uomini si dedicano perché procura loro maggiore soddisfazione di quella che potrebbero trarre in altro modo. In questo saggio cercherò di mostrare come queste inutili soddisfazioni possano inaspettatamente dimostrarsi fonti di un’insospettabile utilità.
Sentiamo ripetere fino alla noia che il nostro è il tempo del materialismo, la cui principale preoccupazione dovrebbe essere la migliore ripartizione delle opportunità e dei beni materiali. Molti però si lamentano perché, senza alcuna colpa, non hanno nessuna speranza di una vita dignitosa e sono privati della giusta parte di beni materiali. Questo allontana un numero sempre più grande di giovani dagli studi dei loro padri e li spinge verso lo studio, altrettanto importante e non meno urgente, della sociologia, dell’economia e della politica. Non contesto questa tendenza. Il mondo nel quale viviamo è l’unico di cui possiamo avere esperienza. Se non riusciamo a migliorarlo, a renderlo più giusto, milioni di individui continueranno a morire in silenzio, afflitti e amareggiati. Io stesso per molti anni mi sono battuto affinché le nostre scuole dedicassero più attenzione al mondo nel quale allievi e studenti sono destinati a vivere. Qualche volta mi chiedo se questa tendenza non si sia acuita e se possiamo ancora vivere una vita dignitosa e gratificante in un mondo spogliato delle cose inutili ma spiritualmente significative; in altre parole mi chiedo se la nostra concezione di ciò che è utile non sia diventata troppo limitata rispetto alle capricciose e vagabonde potenzialità dello spirito umano.
Possiamo considerare questa domanda da due punti di vista diversi: scientifico e umanistico (o spirituale). Iniziamo dal primo. Ricordo una conversazione che ebbi qualche anno fa con Mr George Eastman sul tema dell’applicazione pratica del sapere. Mr Eastman, persona saggia, gentile e lungimirante, amante della musica e dell’arte, mi aveva detto che intendeva spendere la sua enorme ricchezza nella promozione dell’insegnamento di discipline utili. Mi permisi di chiedergli chi ritenesse fosse stato l’uomo più utile al mondo nel campo scientifico. Rispose senza esitazione: «Marconi». Lo sorpresi dicendo: «Qualunque sia il piacere che ci offre la radio e qualunque sia il contributo dato dalle trasmissioni senza fili alla vita umana, l’apporto di Marconi mi sembra trascurabile.»
Non dimenticherò il suo stupore per la mia affermazione. Mi chiese di offrirgli una spiegazione. Gli risposi così: «Mr Eastman, Marconi trasse conclusioni inevitabili. Il merito effettivo di tutto ciò che è stato fatto nel campo della trasmissione senza fili, se questo merito può essere veramente attribuito a un unico individuo, va al professor Clerk Maxwell, che nel 1865 effettuò calcoli complessi e intricati nel campo del magnetismo e dell’elettricità. Maxwell nel 1873 pubblicò le sue equazioni teoriche in un trattato scientifico. Alla successiva riunione della British Association il professor H.J.S. Smith dichiarò che ‘nessun matematico può sfogliare le pagine di questo volume senza rendersi conto che contengono una teoria che ha già dato un enorme contribuito ai metodi e alle risorse della matematica pura’. Altre scoperte, nei quindici anni successivi, confermarono la teoria di Maxwell. Finalmente nel 1887-1888 Heinrich Hertz, un assistente di von Helmholtz nel laboratorio di Berlino, scoprì e dimostrò l’esistenza delle onde elettromagnetiche che trasportano i segnali radio, risolvendo così il problema teorico che era rimasto sospeso. Né Maxwell né Hertz si preoccuparono minimamente dell’utilità del loro lavoro; questo pensiero non attraversò mai le loro menti. Non concepirono mai la possibilità di un riscontro pratico. Naturalmente l’inventore nel senso giuridico del termine fu Marconi, ma cosa inventò? Solo l’ultimo dettaglio tecnico, ovvero il dispositivo ricevitore chiamato ‘coesore’, oggi già superato.»
Hertz e Maxwell non avranno inventato nulla, ma fu proprio il loro lavoro teorico inutile che, sfruttato da un abile tecnico, ha consentito di creare nuovi strumenti di comunicazione, utili e divertenti, grazie ai quali uomini, i cui meriti sono molto relativi, hanno ottenuto fama e guadagnato milioni. Chi furono gli uomini veramente utili? Non Marconi, ma Clerk Maxwell e Heinrich Hertz: due geni totalmente disinteressati a un fine pratico. Marconi, invece, fu un abile inventore che aveva l’utilità come suo unico orizzonte.
Il nome di Hertz richiamò alla memoria di Mr Eastman le onde hertziane. Gli suggerii di informarsi presso i fisici dell’Università di Rochester su cosa avessero effettivamente fatto Maxwell e Hertz. Di una cosa poteva essere sicuro: essi avevano svolto il loro lavoro senza alcun pensiero per la finalità d’uso; e in tutta la storia della scienza la maggior parte delle grandi scoperte, che si erano poi dimostrate di beneficio per l’umanità, erano state fatte da uomini e donne non motivati dall’aspirazione a essere utili, ma spinti dal desiderio di soddisfare la loro curiosità.
«Curiosità?» chiese Mr Eastman.
«Sì,» risposi, «la curiosità, che, anche se non genera qualcosa di utile, è probabilmente la caratteristica che meglio qualifica il pensiero moderno. Niente di nuovo. La curiosità è il principio che guidò Galileo, Bacon, Sir Isaac Newton, e bisogna lasciarle libero corso. Gli istituti scientifici dovrebbero sforzarsi di coltivarla. Quanto meno saranno distratti da considerazioni di immediata utilità, tanto più sarà alta la probabilità che possano contribuire non solo al bene dell’umanità, ma anche alla soddisfazione egualmente importante della curiosità speculativa che è diventata, e lo si può dire con ragione, la spinta fondamentale della vita intellettuale moderna.»
[il brano è tratto da Abraham Flexner, The Usefulness of Useless Knowledge, “Harper’s Magazine”, 139, June/November 1939, traduzione di Lorenzo Matteoli, ed è stato gentilmente segnalato da Alessandro Fusco, studente liceale di 5° anno, che ha partecipato al recente laboratorio Righi-Marconi approfondendo la mai risolta controversia Practice vs. Theory]
The Usefulness of Useless Knowledge
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